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Remissione del debito contestuale alla vendita

Spesso nella cessione degli immobili tra genitore e figlio, ove non sia previsto il pagamento di un corrispettivo di danaro, si ricorre alla vendita seguita dalla remissione, da parte del venditore, del debito relativo alla corresponsione del prezzo.
Detto sistema pratico è di largo uso perché la donazione indiretta non è soggetta, secondo l’opinione largamente prevalente affermata nonostante sporadiche contrarie decisioni in giurisprudenza, all’azione di restituzione nei confronti dei sub acquirenti dei beni di provenienza donativa sostenendosi che essa, non può essere esercitata, verso gli aventi causa da provenienze di donazioni indirette, dato che la suddetta azione presuppone che il bene “donato” sia recuperabile, come tale, dal patrimonio del donante (poi de cuius). Ciò non è possibile anche nel caso della donazione indiretta, risultante come tale dal collegamento negoziale vendita/remissione del prezzo, dato che, in tal caso, sebbene l’immobile sia uscito dal patrimonio del de cuius, lo ha fatto a titolo di vendita e non di donazione.
Una recente sentenza della Cassazione (Cass. 35/2022 n. 13857) ha ritenuto che la vendita con contestuale remissione del corrispettivo, sia nulla in quanto negozio dissimulante una donazione.
La dottrina che ha annotato la decisione (Vita Notarile 2022/1041) ha avuto facile gioco nel criticare detta sentenza in quanto dimentica dei requisiti elementari della simulazione relativa che presuppone indefettibilmente una realtà palese (negozio simulato) o una realtà occulta, falsa, nascosta ma effettivamente voluta dalle parti (negozio dissimulato). In ogni caso la simulazione si fonda su un nascondimento del reale, il che non sembra percepibile in un contratto nel quale si vende il bene e poi chiaramente si rimette il debito. Tutto palese e quindi nessuna realtà celata.
Detta dottrina ha poi sostenuto che nel caso specifico, indipendentemente dalla simulazione (non ipotizzabile per il motivo suddetto) ricorrerebbe comunque la nullità, derivante dall’assenza della c.d. causa concreta, essendo contraddittorio vendere un bene, prevedere un prezzo, e poi stabilire nello stesso contratto di non pagarlo. Si tratterebbe, in tal caso, di un atto gratuito svincolato da qualunque causa, anche donativa, stante l’assenza dell’animus donandi non ricavabile dal contesto contrattuale.
Anche questa impostazione però non convince.
A prescindere dalla questione della causa concreta, contrapposta a quella astratta (la quale riposa sull’indiscutibile dato normativo codicistico e sulla dogmatica tradizionale dei nostri interpreti), causa concreta che secondo il giudizio degli interpreti che l’avversano comporterebbe la sublimazione dei motivi ad inammissibili elementi essenziali del contratto e dunque, indirettamente, alla proliferazione delle cause di nullità al di là dei limiti tipicamente a disposizione solo al legislatore, basta osservare, nello specifico, che la remissione del debito presuppone, logicamente, l’esistenza di un debito da estinguere e dunque, apparirebbe difficile affermare, che nel caso in esame la vendita sarebbe strutturata senza corrispettivo.
In realtà la vendita ipotizzata ha un corrispettivo da pagare e quindi, da essa, nasce un debito, il quale, però, in conseguenza di un negozio diverso dalla stessa, si estingue. Abbiamo una vera vendita e una vera remissione del debito. Dall’atto potrebbe non emergere alcun intento liberale e in tal caso si avrebbe, semplicemente, un contratto a causa corrispettiva e un negozio a causa neutra che cioè, resta tipologicamente se stesso, a prescindere dalla sua onerosità o gratuità.
Si sostiene di contro, che ciò che non va nel caso specifico è la simultaneità dei due suddetti negozi, credendosi, che la questione non si porrebbe, invece, laddove la remissione fosse contenuta in un atto successivo alla vendita, magari a distanza di tempo che evidenzierebbe, in tal modo, che vendita e remissione non sono il frutto di un contestuale programma contrattuale.
Ma è noto che la contestualità di due o più negozi non ne snatura l’essenza, ancorché essi prendano tutti efficacia dalla sottoscrizione dell’unico atto in cui sono contenuti. Si prenda il caso della vendita con corrispettivo legalmente o volontariamente compensato con altra obbligazione reciproca (anche eventualmente derivante da un contestuale riconoscimento di debito). Nessuno dubita che la relativa vendita sia perfettamente valida anche se il corrispettivo non viene pagato perché contestualmente estinto per compensazione. Non si tratta, infatti, di una vendita senza prezzo ma di una vendita con corrispettivo contestualmente estinto.
Nel nostro caso la cosa non cambia perché siamo in presenza di una estinzione derivante da remissione del debito, addirittura, di per sé stessa non è necessariamente liberale.
Negli ordinamenti di tradizione romanistica, come il nostro, il diritto oggettivo è costituito dalla norma scritta da interpretare, se possibile letteralmente (art. 12 preleggi). Per evitare che meccanismi causali indiretti possano essere rivolti a finalità illecite, è sanzionato il contratto fraudolento (art. 1344 cc). Al di là di esso l’utilizzo di combinazioni negoziali, espressione di autonomia contrattuale non solo non è vietato, ma è incoraggiato dalla Legge (art. 1322 cc) e addirittura dalla Costituzione (art. 41 Cost).
Il nostro ordinamento ammette la donazione indiretta, addirittura non soggetta alle forme della donazione, nel cui ambito casistico interpretativo rientra da sempre la combinazione negoziale vendita / remissione, e quindi non si capisce poi come l’interprete possa ritenerla invalida e assimilarla a una simulazione negando così valore al negozio indiretto che nulla simula ma anzi, raddoppia la volontà contrattuale con riferimento sia al negozio mezzo che a quello fine. Non si capisce infine perché la valutazione del collegamento negoziale sia diversa a seconda che la remissione avvenga contestualmente o successivamente, di un giorno o di un anno, alla vendita.
Unica alternativa a ciò sarebbe sostenere contro l’interpretazione da sempre seguita, che la vendita con pertinente remissione del debito da pagamento del corrispettivo sia, di per sé, contraria alla Legge ( per simulazione o per inesistenza della causa concreta che siano).