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Principio di reciprocità. Elenco del Ministero degli esteri. Il caso dell’Iran

L’ art. 16 delle preleggi stabilisce che lo straniero, appartenente ad uno stato in cui i cittadini italiani subiscono limitazioni all’esercizio dei propri diritti, come in una sorta di proporzionale contrappasso, subisce lo stesso trattamento in Italia.

La norma, per quanto criticatissima da quando è vigente l’attuale Costituzione, non solo è stata mantenuta intatta dal legislatore, (legge 218/95) D.lgs. 286/1998, ma è rimasta immune da censure di costituzionalità.

In termini strettamente giuridici dal principio di reciprocità discende un limite, alla capacità giuridica relativa dello straniero in Italia. Egli, infatti, nelle materie in cui il principio e/o la regola non sono osservati, non ha la relativa soggettività.

 A ciò, non si potrebbe ovviare con l’istituto della rappresentanza, dato che essa presuppone la capacità del rappresentato e lo straniero, in questi casi, non è semplicemente sprovvisto del potere di far valer i suoi diritti (incapacità di agire) ma è privo in toto della pertinente soggettività. Ovviamente si può parlare qui solo di incapacità giuridica parziale, perché soprattutto alla luce del D.lgs. 286/1998, qualunque straniero può in Italia esercitare, a prescindere dalla sua nazionalità e relativa prova di reciprocità, incondizionatamente, i diritti relativi alla sfera giuridica fondamentale e in generale non economica.

Conseguenza di ciò, è che l’atto posto in essere dallo straniero (in parte) giuridicamente incapace e cioè con riferimento ai campi in cui non operi la reciprocità, è carente del presupposto soggettivo per la stipula del contratto (la capacità giuridica specifica) e quindi tale atto, se comunque posto in essere, sarebbe affetto da nullità. Tra l’altro non ratificabile poiché lo straniero, non essendo in questo caso abilitato ad essere titolare del rapporto oggetto del negozio, non avrebbe, anche e comunque, il potere di appropriarsene giuridicamente.                              

Il DIP non ha influito sulla vigenza dell’art. 16 delle preleggi. Avendo tale intervento normativo, anzi, stravolto l’ambito del diritto internazionale privato, e lasciato intatto l’art. 16, esso ha implicitamente dimostrato, il perdurante valore di tale disposizione, quale vera norma vigente di chiusura dell’insieme dei diritti concessi allo straniero in Italia.

Il Testo Unico sull’immigrazione D.lgs. 286/1998 ha tuttavia determinato, un’incrinatura nella applicazione del suddetto principio. Infatti esso prevede che la reciprocità non si applichi al cittadino comunitario, e il DPR n.394/1999, art.1, prevede pure la non applicabilità di essa al cittadino extracomunitario, in possesso di permesso di soggiorno rilasciato per motivi titolato. Non si applica neppure ai cittadini di Islanda, Norvegia, Liechtenstein, apolidi e rifugiati con residenza in Italia da almeno tre anni.

Si noti che il D.lgs. e il suo regolamento di attuazione non contengono tecnicamente una deroga all’art. 16 delle preleggi, bensì enunciano fattispecie alle quali, semplicemente, non è applicabile il principio di reciprocità.

Pertanto, la vecchia disposizione delle preleggi è ancora applicabile “per differenza” a tutti i cittadini extracomunitari non muniti di permesso di soggiorno qualificato, di cui all’art. 1 del suddetto regolamento.

L’art. 2 comma 1, del D.lgs., prevede un ulteriore eccezione all’applicabilità della reciprocità, eccezione di notevole importanza spesso sottovalutata. Il trattamento dello straniero in Italia oltre che al diritto interno, è soggetto alle convenzioni internazionali e al diritto costituzionale, ciò prescindendo totalmente dalla questione della reciprocità. Tale concetto è chiaro al Ministero degli Esteri tanto che su http://www.esteri.it.MAE/IT/ministero/servizi/stranieri/Condizionedireciprocità/ si legge tra l’altro:

“Secondo interpretazione costante, si ritiene che l’accertamento della condizione di reciprocità non vada effettuato, per i cittadini di quei paesi con i quali l’Italia ha concluso accordi bilaterali in materia di promozione e protezione degli investimenti (Bilateral Investments Treaties o BTS).

In tal caso, infatti, il provvedimento di ratifica e di esecuzione dell’Accordo assume carattere di lex specialis, rispetto alla previsione generale dell’art. 16 delle preleggi e si ritiene esistente la condizione di reciprocità relativamente alla materia contrattuale”.

Quindi la prevalenza della norma speciale (legge che ratifica del BITS che è un trattato internazionale a tutti gli effetti) rispetto alla norma generalissima (art. 16 delle preleggi) fa sì che prevalga l’accordo bilaterale che, a causa della legge di ratifica costituisce lex specialis derogatrice nel conflitto, rispetto al principio di reciprocità. (La cosa trova anche conferma per il CNN in http//www.notariato.it//imprese//chi-può-essere-socio).

In realtà non siamo qui, in presenza, come invece dice il Ministero, di un caso in cui ricorre la reciprocità. Più propriamente siamo dinanzi a una disapplicazione di tale principio o deroga ad esso, perché la prevalenza della lex specialis fa sì che l’art. 16 sia in toto inapplicabile. A ben vedere è questo il modo in cui operano le eccezioni al principio di reciprocità previste nel D.lgs. 286/1998 e nel DPR 394/1999. Il principio non è applicabile e cioè non regolamenta le fattispecie, in cui lo straniero sia un cittadino comunitario, oppure essendo extracomunitario sia munito di permesso di soggiorno o infine sia cittadino di uno stato che ha stipulato un accordo bilaterale debitamente ratificato nel nostro paese.

Non si tratta di casi, in cui la reciprocità viene riconosciuta in via di finzione giuridica, ma piuttosto di ipotesi che ne prescindono radicalmente.

Nella grande difficoltà per l’operatore pratico, giudice, avvocato, notaio, funzionario pubblico, contraente privato con lo straniero, di sapere se lo stesso, ha la capacità giuridica di esercitare i diritti in Italia, in ragione del fatto che eguali diritti possano essere esercitati dall’italiano nel di lui paese, la legge ha demandato al nostro Ministero degli Esteri, l’obbligo di formare e tenere aggiornato un elenco di tutti i paesi del mondo con l’indicazione, per ciascuno di essi, della ricorrenza della reciprocità e dei limiti della stessa concretamente riscontrati. Per saper se un cittadino extracomunitario, può esercitare i diritti economici in Italia il Ministero deve, con tale elenco, fornire la relativa indicazione. Pertanto, nelle intenzioni del legislatore dovrebbe questo elenco, completare il novero delle indicazioni attinenti ai requisiti della capacità, perché dovrebbe dare l’indicazione probatoria della reciprocità di trattamento.

Sembra però che il Ministero, forse  per burocratica prudenza, abbia sostanzialmente declinato la funzione deferita ad esso dalla norma, quando leggiamo nel sito web dello stesso, l’avvertenza generale che le informazioni dell’elenco “non hanno valore legale e sono da interpretare come indicazioni di massima”, in altre parole, la funzione informativa dell’elenco ministeriale, prevista per legge è depotenziata dalla stessa P.A  che avverte che le indicazioni da essa fornite non hanno valore legale, ma servono quale indicazioni di massima per approfondire la materia, ovviamente caso per caso, con l’onere per il singolo operatore, di raffrontare la legge straniera con la nostra, informandosi del trattamento ricevuto dagli italiani nel paese estero, e quindi concludere se ricorra il detto presupposto paritario.

In una questione di eccezionale importanza (capacità giuridica del contraente), la cui assenza recherebbe un gravissimo vizio all’atto eventualmente stipulato, la nullità radicale e insanabile, l’interprete e l’operatore pratico, a causa del non valore probante dell’elenco ministeriale, dovrebbe sobbarcarsi l’onere  di una verifica comparatistica e soprattutto di verifica di fatti concreti, dato che le indicazioni ministeriali non hanno, per ammissione esplicita alcun valore legale e quindi, non hanno (più semplicemente) valore giuridico, mirando a fornire uno spunto per l’approfondimento, che ognuno farà a suo piacimento, con la cura che intenderà di impiegare.

Da ciò discende, che eventuali decisioni, sentenze, atti amministrativi, contratti che dovessero basarsi solo sull’elenco ministeriale, sarebbero erronei sotto il profilo motivazionale, perché aventi a fondamento un dato non certo, per stessa confessione di chi ha scritto l’elenco. Dovrebbe detto provvedimento e/o atto, basarsi sia sull’elenco sia e soprattutto sulla verifica individuale effettuata sulla legislazione straniera e sul comportamento concreto dello Stato straniero che valga a trasformare una valutazione di massima in una valutazione assolutamente certa. Verifica la cui bontà, nel caso di contrasto, sarebbe da riscontrare in giudizio.

 

Il caso dell’Iran.

Il fatto che la valutazione ministeriale alla base dell’elencazione sia soltanto  di massima, incontra una puntuale manifestazioni nel caso del trattamento del cittadino iraniano in Italia. Si legge nell’elenco, rinvenibile nel suo sito web, che con l’Iran, non ricorre la reciprocità nell’ambito dei più importanti rapporti economici.

Con l’Iran però, è stato stipulato il 10 marzo 1999 un accordo bilaterale “sulla reciproca protezione e promozione degli investimenti”. Per “investimenti” dice tale accordo bilaterale, si intende ogni tipo di investimento mobile o immobile, titolo azionario, partecipazioni societarie di ogni tipo (tutto quello che può essere oggetto di investimento da parte dell’Iran in Italia e dell’italiano in Iran.

L’art. 2 della convenzione poi recita:

Ciascuna parte contraente incoraggerà i propri investitori ad investire nel territorio dell’altra Parte Contraente.

Ciascuna parte contraente, in conformità alle proprie leggi e regolamenti, creerà condizioni favorevoli per attrarre gli investimenti realizzati da investitori dell’altra Parte Contraente nel proprio territorio.

La lettura dell’art.3 di tale trattato bilaterale internazionale è illuminante laddove si legge “ nel caso in cui dalla legislazione di una delle parti contraenti o dagli obblighi internazionali che dovessero entrare in vigore in futuro tra le parti contraenti, dovesse risultare in futuro una cornice legale per cui gli investitori dell’altra parte contraente verrebbero a godere di un trattamento più favorevole di quello previsto in questo accordo, tale trattamento si applicherà agli investitori dell’altra parte”. Quindi l’Iran e l’Italia si attribuiscono reciprocamente lo status di “nazione più favorita”. Il trattato è stato ratificato con legge 171/2002 reso esecutivo il 08.08.2003, confermato in sede europea con il Trattato di Lisbona del 2012 e da ultimo nuovamente confermato dai due stati con la dichiarazione congiunta dei due primi ministri a Roma del 27.01.2016. 

L’accordo è quindi pienamente vigente e operante. Si legge nel Report del Ministero “Info Mercati Esteri” del 15 aprile 2021 che pur nella situazione attuale l’Iran farà tutto il possibile per attrarre investimenti italiani, non opponendovi nessuno ostacolo. L’Italia dice Report è il primo partner dell’Iran, nell’UE. L’interscambio nel 2018 era di 4,6 miliardi di euro.

Ho segnalato il caso dell’Iran perché questo è un caso emblematico di come funzioni l’applicazione del diritto internazionale privato, per la parte dipendente dal malfunzionamento dell’attività del nostro Ministro degli Esteri.

Da un lato, essendo stato stipulato con l’Iran un accordo bilaterale BITS che incoraggia gli investimenti tra i due stati, come per altri paesi extracomunitari che hanno concluso con l’Italia accordi, la questione della reciprocità, giuridicamente neanche si dovrebbe porre e quindi non dovrebbe avere senso che il Ministro degli Esteri faccia riferimento all’Iran nel noto elenco. Sarebbe bastato indicare per l’Iran e altri stati sottoscrittori di BITS che gli stessi sono esclusi, per legge, dalla verifica di reciprocità.

Dall’altro lo stesso Ministero nel Report di quest’atto dice che l’Iran è un ottimo partner internazionale che l’Italia è la nazione più favorita, e cioè quella alla quale vanno applicate normativamente le migliori condizioni per gli investimenti e scambi economici, non solo perché lo dice il BIT tra i due stati, ma soprattutto perché l’Italia fa con l’Iran più affari di tutto il mondo occidentale.

Anche ammettendo (in modo giuridicamente erroneo per le ragioni suddette) che con l’Iran potesse applicarsi l’art. 16 delle preleggi, come è possibile affermare che la reciprocità con tale stato non esiste seppur parzialmente, quando l’Iran e l’Italia si sono impegnati ad applicare reciprocamente ai propri cittadini il trattamento previsto per la nazione più favorita?