Loading...

INTESTAZIONE DELLA PROPRIA CASA AL FIGLIO CON CONTESTUALE REMISSIONE DEL DEBITO

La contrattualistica, avendo ormai da anni preso atto delle difficoltà che si incontrano nella circolazione dei beni di provenienza donativa diretta derivanti dal carattere reale dell’azione di restituzione, a seguito della riduzione della donazione, essendo tale azione esercitabile nei confronti del sub-acquirente di tali beni, ha suggerito varie soluzioni volte a favorire la circolazione degli stessi.
Infatti, a causa del pericolo di tali restituzione, i suddetti sub-acquirenti o la Banca che ha ricevuto il bene, già donativo, in ipoteca, sono indotti a dubitare della bontà dell’atto dispositivo a loro favore, e quindi, difficilmente accettano di avere una provenienza a monte di carattere donativo.
A seguito dell’affermarsi dell’opinione per cui le donazioni indirette non sono soggette all’azione di restituzione/riduzione nei confronti dei terzi sub-acquirenti, se un genitore voglia trasferire al figlio gratuitamente un suo bene, gli si suggerisce il mezzo pratico della donazione indiretta.
Così le Parti, in tal caso, dopo aver determinato tutti gli elementi della vendita, potrebbero, ad esempio, convenire che il cedente non riscuota il prezzo, sostanzialmente rimettendo il relativo debito al figlio.
Anche per tali fattispecie si può affermare (cosa essenziale per negare l’esperibilità delle suddette azioni di riduzione/restituzione con effetto verso di sub-acquirenti) che il bene donato non passa, come tale, dal patrimonio del disponente a quello del beneficiario, essendo, in tal caso, il titolo traslativo quello della compravendita ed essendo ravvedibile la liberalità solo nella combinazione negoziale indiretta (vedi Cass. 11496 del 12.5.2010 e Amadio Studio CNN 17/2009/C).
La recente Cassazione 3.5.2022 n. 13857 tuttavia, sembra rimettere in discussione tale assunto ormai seguito dalla opinione prevalente.
In tale sentenza si sostiene, seppur quale obiter dictum, che l’atto che contiene sia la vendita che la remissione del debito da pagamento del prezzo, darebbe vita ad un caso di simulazione.
La sentenza sembra però non tenere conto della profonda differenza tra i concetti di simulazione (relativa) e negozio indiretto.
La simulazione attiene sempre ad una situazione di non volontà e ad una apparenza che la cela.
Il negozio indiretto consiste, invece, in una combinazione di negozi, tutti espressamente voluti dalle Parti, in modo che dal loro collegamento possa essere raggiunto un risultato empirico, diverso da quello tipizzato per il negozio mezzo, ma proprio, invece, del negozio fine.
Quindi in termini di volontà il negozio simulato e quello indiretto sono in antitesi, perché nel secondo non c’è alcuna volontà apparente, alcuna volontà nascosta, ma, anzi, l’accordo dei contraenti si indirizza specificatamente ad un negozio ulteriore, per un fine, a sua volta, ulteriore rispetto al negozio mezzo.
L'invalidità del negozio simulato è legata all'assenza di volontà (totale o parziale), con alcune mitigazioni di essa discendenti dall'esigenza di tutela degli interessi dei terzi non stipulanti.
Il negozio indiretto è sempre valido come implicitamente risulta dall’art. 1344 C.C. che pone il solo limite della frode alla Legge, e salvi in alcuni casi, la sua revocazione (art. 2901 C.C.). L’affermazione che si legge in Cass. 13857/2022 sembrerebbe quindi dogmaticamente erronea alla luce dei principi istituzionali del Diritto Privato.
Non appare infatti giuridicamente sostenibile che la remissione del debito da pagamento del prezzo convenuto in un atto di compravendita possa dare luogo ad una nullità simulatoria, e cioè ad una donazione anziché ad una vendita.
In una fattispecie di questo tipo non sembra ravvedibile, sicuramente, alcuna simulazione, nessun infingimento, nessuna apparenza, poiché invece, qui, le Parti, intendono porre in essere due ben distinti negozi: la vendita e la remissione del debito che la segue.
Si tratta di due atti, validi, pienamente e completamente entrambi voluti, negozi in situazione di collegamento funzionale, preordinati, nell’autonomia di cui parla l’art. 1322 C.C. e senza alcuna frode alla Legge, ad una sostanziale liberalità.
Questa si chiama donazione indiretta ed il caso concreto che ha dato luogo alla pronuncia della Corte ne costituisce un paradigmatico esempio.
Sembrerebbe che il modo di ragionare sotteso alla sentenza possa muovere dalla constatazione, di indole eminentemente pratica e non giuridica, che se in un atto di compravendita si stabilisce il prezzo e poi dal medesimo atto risulta anche che esso non viene pagato, per effetto dell’estinzione non satisfattiva dell’obbligazione relativa, causata dalla remissione del debito, è come se le Parti avessero fatto finta di stabilire un prezzo, in realtà non voluto, in relazione all’effetto reale.
Ma tale convinzione appare, ripetiamo, giuridicamente inconsistente, perché promana logicamente dalla non corretta distinzione del negozio indiretto rispetto a quello simulato. Tenuto conto di tale, seppur, criticabile impostazione, l’operatore pratico potrebbe essere indotto, nella redazione del contratto di vendita, ad inserire un ulteriore cautela nell’interesse delle Parti, che vogliono che il corrispettivo pattuito di una vendita “vera" sotto ogni profilo non sia, poi, corrisposto in quanto il cedente intende, per ciò, beneficiare l’acquirente.
Se la contestuale remissione del debito da pagamento del prezzo della vendita può indurre il Giudice a ritenere l’inesistenza in termini giuridici del prezzo stesso (concetti in realtà diversissimi) potrebbe essere opportuno che dalla vendita da genitore a figlio, il corrispettivo della stessa venga effettivamente corrisposto mediante consegna di un assegno bancario da parte del compratore.
In tal modo, nessuna, nemmeno sospetta, apparenza sembrerebbe argomentabile dato che tale vendita viene pagata con un titolo di credito.
Se poi il venditore (nel nostro caso il genitore) non incassa l’assegno, per fare sostanzialmente un regalo al figlio, non avremmo liberalità diretta di somma ma indiretta, del trasferimento dell’immobile, per effetto di un comportamento concludente successivo alla stipula.
La questione del buon fine o meno dell’assegno bancario relativa al suddetto corrispettivo riguarda le Parti del contratto, mentre, in esso, per eventuali futuri rapporti verso i terzi, basta la quietanza dell’assegno (che è cosa diversa dal suo buon fine) e ovviamente la rinunzia all’ipoteca legale.
In alternativa a ciò, le Parti potrebbero dare valore probatorio convenzionale alla non trascrizione entro un tempo stabilito nell’atto della domanda di risoluzione per inadempimento convenendo che tale evento abbia, nei rapporti fra le Parti verso i terzi, valore pattizio di quietanza.