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Trasferimento da genitore a figlio e donazione indiretta

Le problematiche proprie della circolazione dei beni donativi hanno una larga incidenza nei trasferimenti che un genitore intenda fare con spirito di liberalità al figlio.

Secondo l’opinione oggi dominante, l’azione reale di riduzione nei confronti del terzo subacquirente del bene donato sarebbe esperibile solo nel caso di donazione diretta di detto bene, a prescindere dal fatto che si tratti di bene mobile o immobile.

La legge infatti non distingue su tale punto, prevedendo invece in via genarle, un’azione reale verso il terzo a favore del legittimario vittorioso.

Trattandosi di un’azione reale che colpisce il bene in qualunque patrimonio venga poi esso a trovarsi, al momento del suo esercizio, il pericolo è grave per il terzo subacquirente che lo ebbe ad acquistare e pagare, una vera spada di Damocle nelle mani di qualche sconosciuto, essendo nei fatti, spesso sconosciute sia l’eventuale presenza di figli (come nel caso di quelli nati fuori dal matrimonio e riconosciuti magari all’ultimo momento) sia di coniugi possibilmente sposati dal donante anni dopo la donazione, eventualmente anche dopo la cessione al terzo subacquirente.

Ebbene, la Cassazione sembra orientata ad escludere l’applicabilità di tale azione reale nell’ipotesi di donazione diretta. L’argomento seguito pare persuasivo: l’azione di riduzione, avendo natura di accertamento della lesione e costitutiva della inefficacia del titolo traslativo aggredito, comporta il venir meno retroattivamente del titolo attributivo, con conseguente riacquisizione del bene all’asse quantomeno avendo riguardo al legittimario. Proprio per questo l’azione verso i terzi presupporrebbe che tale bene fosse sfato presente all’origine, in detto asse. Le donazioni indirette hanno per obiettivo di far conseguire al beneficiato gratuitamente un bene, non di proprietà del donante, se c’è l’intervento liberale del disponente, ma oneroso riguardo alla controparte del negozio mezzo. L’azione reale presuppone che tale bene donato sia stato nel patrimonio del donante, poi divenuto de cuius. Il che, per l'appunto avviene per le donazioni dirette e non quelle indirette.

La cosa è molto evidente nel caso di un bene acquistato dal figlio con danaro pagato direttamente dal genitore al venditore (art. 1180 c.c.), nel contratto a favore del terzo (figlio) quando il genitore sia parte della vendita, ma non beneficiario di essa come acquirente.

Ci si domanda se ciò possa valere anche nel caso in cui il genitore venda al figlio un suo bene e poi rimetta a lui il debito da corrispettivo di tale vendita. Mi sembra che la risposta debba essere positiva.

Infatti occorre distinguere la vendita dalla rimessione del debito. La vendita (negozio mezzo) è effettivamente il contratto a titolo oneroso ben noto. In esso le parti non possono non stabilire il prezzo e prevedere, ovviamente, che esso sia effettivamente corrisposto. Le parti, al fine di fare ottenere lo scopo indiretto dell’acquisto a titolo gratuito a favore del beneficiario (l’acquirente della vendita) possono prevedere che contestualmente, o in successivo atto, il venditore rimetta il debito o rinunzi al credito, oggetto del suddetto corrispettivo. Lo scopo finale dell’operazione che si giova del combinarsi dei negozi in collegamento, è l’acquisto da parte del compratore, beneficiario in via di liberalità (consistente nella suddetta remissione) del bene già del venditore (negozio fine liberale).

Appare evidente che il titolo derivativo del bene dal genitore al figlio non è una donazione, bensì una vendita. Il trasferimento tra i due patrimoni avviene ma il titolo giuridico di esso è oneroso non trattandosi di liberalità diretta. La liberalità sta nella gratuità della remissione del debito e quindi indirettamente, nella finalità che il collegamento negoziale genera secondo la comune intenzione delle parti.  

In concreta sintesi, sotto il profilo pratico, al di là della ricostruzione giuridica, in questo caso il regalo dal padre al figlio non sta nell’avergli venduto il bene, ma nel non aver preteso di incassare il credito derivante dal corrispettivo. Il corrispettivo c’è, ma la liberalità consiste nel non pretenderlo, dopo averlo previsto.

Ma se il bene in questione viene trasferito dal padre al figlio a titolo oneroso, l’azione di riduzione non può spingersi fino all’esercizio di quella, pretesa contro i terzi subacquirenti di beni che non sono mai passati dal patrimonio del de cuius (a quello del destinatario di essi) a titolo di donazione, bensì, come in realtà, a titolo di vendita.

Ci si domanda poi se la suddetta remissione di debito possa essere contenuta nell’atto stesso della compravendita, ovvero debba esserlo in atto successivo, a parte. La risposta appare semplice applicando i noti principi dei negozi concatenati detti anche a cascata. Se in un contratto sono contenute più pattuizioni di cui alcune presuppongono la stipula di altre, logicamente precedenti, ma nel medesimo atto, pur esse presenti, siccome tale atto si perfeziona per tutti i suoi effetti negoziali in unità di contesto, non è lecito distinguere un prius cronologico che segua quello logico. Ma quest’ultimo è comunque assicurato anche se la vendita e la remissione del debito avvengono nello stesso atto, sottoscrivendo un unico documento che contiene due distinti negozi tra i quali la remissione del debito è logicamente ( ma non cronologicamente) subordinata alla compravendita.

Preme qui sottolineare la profonda differenza fra la fattispecie sopra descritta che attiene in pieno all’alveo del negozio indiretto, sicuramente sempre legittimo, e ancor più sicuramente, in presenza di liberalità, stante l’esplicita previsione del codice (art. 809 c.c.) e quella del negozio simulato, che presuppone una volontà di finzione e cioè di nascondere, dietro un paravento, il negozio dissimulato. Nel caso in rassegna non c’è alcuna falsificazione o nascondimento. Anzi le parti, invece di volere un contratto al posto di un altro tenuto celato, ne vogliono addirittura due e contemporaneamente, unificati, nel collegamento fra di loro, e cementati dall’intento scopo liberale.

Infine, nella partica, è diffuso anche il sistema che il pagamento del corrispettivo avvenga, nel suddetto e ipotizzato caso, con assegno bancario tratto dal compratore a favore del venditore di costui, che però non lo incassi, versandolo in banca, deliberatamente, attuando in tal modo il suddetto spirito liberale, d’accordo con la controparte della vendita.

Coloro che dubitano della validità di tale modo di operare, probabilmente dimenticano che in tema di remissione del debito la restituzione volontaria del titolo (di credito) comporta, di per sé stessa la detta rimessione (art.1236 c.c.).

Dunque il negozio remissione, nel caso ipotizzato non emergerebbe dal contenuto della compravendita, bensì dal comportamento concludente del compratore che, ottenuto il pagamento del debitore con la consegna di un titolo di credito, lo restituisca al debitore, ovvero d’accordo con costui lo distrugga. Comportamento concludente legittimo, essendo la rimessione a forma libera.

A tale proposito giova ricordare che il fatto che l’assegno bancario, consegnato al venditore venga dopo la vendita non incassato o distrutto, laddove non fosse ritenuta una remissione del debito implicita, si concretizzerebbe comunque nella impossibilità per il prenditore dell’assegno di chiedere un nuovo pagamento. Questa opinione trova il conforto della giurisprudenza della Suprema Corte, quando essa afferma che se è vero che la consegna dell’assegno bancario non dà luogo al saldo del prezzo, dato che detto assegno non è mezzo di pagamento, ma, essenzialmente una promessa di pagamento incorporata in un titolo astratto circolante, tuttavia l’esercizio del credito da parte del suddetto intestatario del titolo, presuppone che egli ne sia tuttora in possesso (oppure che abbia iniziato la procedura di ammortamento per lo smarrimento o la distruzione accidentale), (Cass.17.127/2011).

Alcuni infine domandano se tale assegno bancario, debba al momento della sua traenza essere fornito di provvista.

Gli interpreti ritengono che la provvista debba esistere al momento dell’incasso dell’assegno bancario e non, anche, necessariamente in quello della sua emissione (Cass. 3140/2006).

Pertanto nel caso suddetto, al fine di integrare il meccanismo del collegamento negoziale funzionale alla liberalità non apparirebbe- crediamo- necessario che l’assegno fosse coperto al momento della sua consegna. Ciò ovviamente a causa dell’astrattezza dell’obbligazione cambiaria, non potrebbe poi portare a pretese da parte del traente, ove poi il titolo contrariamente agli accordi, fosse poi messo all’incasso dal prenditore.