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Riconoscimento dell'accordo fiduciario nel testamento

Come è noto il testamento può contenere qualunque tipo di disposizione patrimoniale e non, anche non attinente al suo contenuto tipico (art. 587 c.c.).

In questo ambito sono ormai pacificamente ritenuti ammissibili nel testamento i c.d. riconoscimenti.

Tali fattispecie trovano fondamento normativo all’art. 1988 c.c. che disciplina la figura del riconoscimento del debito della cui natura negoziale si dubita sempre meno, considerando che, a differenza della dichiarazione di scienza o della confessione (che sono prove e cioè mirano a fotografare semplicemente la realtà), il riconoscimento di cui a tale norma ha lo scopo negoziale di invertire l’onere della prova e dunque si inquadra nell'auto-regolamentazione degli assetti giuridici, dato che mira a fornire un vantaggio al creditore che prima (di tale riconoscimento), non aveva.

Non c’è motivo di dubitare che il riconoscimento di debito possa essere contenuto in un testamento, come in qualunque altro documento negoziale (anche) inter vivos, sottoscritto dal de cuius.

Nel caso del testamento però la sua efficacia sarà contingentemente successiva all’apertura della successione.

È importante però rilevare che ciò non altera la natura di tale negozio, in ogni caso, non caratterizzato dalla causa di morte.

Tale tipologia negoziale è connotata dal fatto che le relative disposizioni, pur negozialmente perfette, non possono avere alcuna efficacia fino alla morte del loro autore e pertanto, fino a quel momento, potranno essere senza ostacoli, revocate.

Un negozio a struttura inter vivos, seppur contenuto, per l’occasione, nel testamento, non dipende per la sua efficacia ontologicamente causale dalla morte; più semplicemente prende concreto effetto dal momento in cui la scheda è legalmente conoscibile quale documento, uscendo, dopo la morte del suo artefice, dall’ambito della segretezza propria della scheda di ultime volontà.

In altri termini, l’efficacia negoziale di tale riconoscimento non coincide con la morte per ragioni di struttura causale ma contingentemente ne dipende. Da ciò deriva, che non si applica in tal caso il principio della revocabilità ad nutum e ad libitum, tipica della disposizione testamentarie.

Così, ad esempio, il riconoscimento del figlio naturale, pur contenuto nella scheda, come dimostrato dall’art 256 c.c. mantiene il suo valore anche se la stessa fosse eventualmente revocata. Non trattandosi infatti di un negozio, per causa di morte, esso soggiace, quanto alla revocabilità, al principio della tendenziale irrevocabilità (più forte nei contratti, meno intensa nei negozi unilaterali) delle manifestazioni di volontà negoziali inter vivos.

Fatta questa necessaria premessa per l’inquadramento del problema, non sembra ci siano dubbi per ammettere nel novero del contenuto atipico del testamento, anche il riconoscimento, ad esempio, del carattere liberale di disposizioni patrimoniali indirette effettuate durante la sua vita dal de cuius. Si potrebbe forse solo dubitare che queste ed altre dichiarazioni, come quelle sulla fiduciarietà, ad esempio, di una intestazione di beni abbiano natura negoziale o probatoria. Ma ai presenti fini, e cioè in relazione alla questione della loro ammissibilità, non sembra sussistano particolari problemi di ammissibilità.

Negli ultimi tempi la questione è diventata di attualità, a causa del recente mutamento di indirizzo della Cassazione in tema di forma del mandato senza rappresentanza e della dichiarazione fiduciaria, in ambito immobiliare.

Abbandonando il parallelo con la forma necessitata della procura, per il caso che il negozio ad quem sia solenne, la Cassazione afferma che il mandato si stipula seguendo il principio generale della libertà delle forme e dunque la validità del mandato senza rappresentanza a vendere ed ad acquistare diritti immobiliari, non richiederebbe necessariamente lo scritto.

Per identità di principi si può ragionare in tema di negozio fiduciario, mai dimenticando che l’analogia fra questo e il mandato è stata addirittura presupposta dal legislatore della Relazione al Re del codice civile laddove la mancata regolamentazione codicistica del negozio fiduciario, fu giustificata, in quella sede, in quanto ritenuta assorbita in quella del mandato.

Da ciò appare lecito ricavare che può dimostrarsi l'avvenuta conclusione di un contratto fiduciario anche se immobiliare con qualunque mezzo probatorio ivi compresa l'attestazione sulla avvenuta conclusione del patto fiduciario che avrà efficacia probatoria maggiore o minore in funzione della presenza o meno nel suo contenuto di connotati confessori.

Possiamo dunque allora concludere sulla base di tali premesse:

  1. Il riconoscimento di diritti sia di credito che di altra natura può essere contenuto in un qualunque documento, a prescindere dalla questione del suo carattere negoziale o probatorio.
  2. Tale riconoscimento, se contenuto nel testamento non avendo natura mortis causa, ma facendo parte del contenuto atipico della scheda non è soggetto al principio della revocabilità collegata a tale tipologia negoziale, e dunque non sarà mai travolto dalla eventuale revoca del testamento in quanto tale.
  3. Il negozio fiduciario relativo alla proprietà immobiliare, come d’altronde il mandato, non richiede, per la sua valida stipulazione, obbligatoriamente la forma scritta
  4. Nel testamento può essere contenuto il riconoscimento da parte del fiduciante dell’esistenza del pactum fiduciae, all’epoca non redatto per iscritto. Si tratta ovviamente di un qualcosa che sul piano probatorio non potrà mai avere un’efficacia superiore a quella che ha la confessione testamentaria.
  5. Il fiduciante dopo aver palesato nel modo suddetto l’accordo fiduciario potrebbe disporre dell’eventuale diritto ad habendam rem che gli competesse in base all’accordo fiduciario, sia a favore del fiduciario stesso (remissione) che di terzi (legato di credito).