L’autocontratto e il contratto con sé stesso

L’ordinamento civile ammette, con l’importante eccezione in materia di soggetti incapaci che subito dopo vedremo, la possibilità che un soggetto che rappresenti anche un’altra persona, ovvero organicamente un ente, possa stipulare un qualsivoglia contratto anche bilaterale, con sé stesso in proprio, o in rappresentanza di altri.

La figura è prevista dall’art. 1395 c.c. che la dottrina più sottile distingue dall’ipotesi del conflitto di interessi.

Nel primo caso essa preferisce dogmaticamente parlare di incompatibilità soggettiva, nel secondo caso di impossibilità di funzionamento della rappresentanza, finché il conflitto non sia stato rimosso. Essendo la distinzione alquanto dottrinale, nella pratica si ritiene che il contratto con sé stesso appaia piuttosto come la manifestazione ultima, evidentissima e sublimata del suddetto conflitto. È infatti difficile immaginare nei fatti, un autocontratto in cui non ricorra il conflitto (al massimo livello ipotizzabile).

Il conflitto di interessi notoriamente impedisce il dispiegarsi causale della rappresentanza. Essa ha invero, per scopo razionale, secondo la celebre intuizione di Pugliatti, riferita alla procura, la cura dell’interesse del rappresentato.

Laddove, in via anche solo astratta (come dall’altronde astratta è la causa,) ricorra un impedimento a che tale obiettivo possa essere conseguito, per ragioni dipendenti dal fatto che il rappresentante deve anche curare il proprio personale interesse, ovvero quello di altri soggetti che egli si trova a rappresentare, da ciò scaturisce l’evidenza del conflitto che paralizzando l’estrinsecazione casuale della rappresentanza stessa, ne impedisce validamente l’uso e quindi l’atto, ciò nonostante posto in essere dal rappresentante si mostrerebbe quale annullabile.

Il conflitto di interessi è facilmente rimovibile, degradando la rappresentanza a nunciatio. E cioè togliendo al rappresentante l’autonomia che lo schema legale di tale istituto prevede come suo connotato indefettibile. Non esiste vera rappresentanza senza l’autonomia del rappresentante. La dimostrazione testuale di ciò sta nel art. 1390 c.c. che afferma che i vizi della volontà rilevanti nell’esercizio della rappresentanza sono solo quelli del procuratore e non del dominus. Questo appunto perché la volontà nell’esercizio della procura è quella del rappresentante, che determina, con la sua discrezionalità, il contenuto del contratto con il solo obbligo di osservare i limiti e i poteri a lui imposti dal rappresentato, al di fuori dei quelli egli agirebbe in eccesso (art. 1398 c.c.).

Si può dunque affermare che l’esistenza del conflitto impedisce al rappresentante di stipulare validi atti.

Se poi egli, per volontà del dominus dovesse comunque operare anche in presenza del conflitto, sarà necessario che il rappresentato abbia cura di determinare, lui stesso, direttamente, i punti fondamentali del contratto; quelli cioè per i quali può anche astrattamente sorgere il conflitto.

Ciò facendo però, sottraendo il dominus al procuratore, la possibilità di agire discrezionalmente e cioè di stipulare, lui autonomamente il contratto affidatogli, non potrà più dirsi che egli agisca in base a procura (art.1387 e ss. c.c.), ma quale nuncius quasi per litteram. In base a questo diverso istituto non gli sarà stato affidato l’incarico di manifestare nei nomi la sua volontà, ma di riportare, quasi recapitandola al terzo, la volontà del mandante.

La Corte di Cassazione ha ben individuato tale profilo, quando ha espresso il concetto che non è sufficiente nonostante che l’art 1395 c.c, possa far pensare il contrario, per evitare il conflitto e l’invalidità del contratto con sé stesso che il mandatario sia soltanto espressamente autorizzato a farlo, ma anche e soprattutto è necessario, al suddetto fine, che tale indicazione sia accompagnata dalla predeterminazione da parte del mandante del contenuto dello stipulando contratto, quanto meno per le parti conflittuali nelle quali lo spazio di discrezionalità del mandatario potrebbe mettere in dubbio in via astratta, che egli sia idoneo a curare l’interesse del dominus.

In definitiva il conflitto è un dato di fatto nella dinamica oggettiva degli interessi dialetticamente contrapposti. La legge vuole evitare che il rappresentante, quasi “servo di due padroni” possa a suo piacimento decidere quale avvantaggiare e quale sacrificare.

Riassumendo e schematizzando si può concludere come segue:

  1. La rappresentanza è l’esercizio del potere di agire in via di delega da parte del soggetto legittimato a disporre dell’assetto di interessi sostanziali, esprimendo una volontà negoziale autonoma e quindi discrezionale con effetti solo sul mandante.
  2. Non può esistere esercizio della rappresentanza senza espressione della volontà negoziale del procuratore, e quindi espressione della sua discrezionalità.
  3. Il conflitto è possibile perché esiste tale discrezionalità.
  4. Per eliminare il conflitto non basta essere autorizzato a superarlo ma bisogna scongiurarlo alla radice per volontà espressa del mandate, eliminando la possibilità che il rappresentante, agendo discrezionalmente, possa privilegiare uno degli interessi in conflitto rispetto agli altri da lui contemporaneamente amministrati. L’eliminazione del conflitto, rimuovendo a monte la discrezionalità del mandatario, conduce negozialmente l’incarico al di fuori della rappresentanza, riducendolo a semplice nuntiatio.

Nei rapporti esterni (mentre il c.d. abuso di potere e cioè l’inottemperanza da parte del mandatario alle istruzioni interne in tema ricevute dal mandante si caratterizza per la sua rilevanza su contratto stipulato) il conflitto può determinare l’annullabilità del contratto se conosciuto o conoscibile dal terzo. Per questo e cioè per l’evidenza del conflitto nel contratto con sé stesso esso è sempre annullabile, senza particolari indagini sulla conoscibilità di esso all’esterno.

Nell’ambito societario, mentre per le società di persone si applicano i suddetti principi, nelle società di capitali vige la alquanto dettagliata disciplina dell’art.2391 c.c.. Anche per le società invece il caso del contratto con sé stesso è diverso, stante il carattere in re ipsa del conflitto onde proteggere i terzi. Per questo la maggior parte degli interpreti e soprattutto la dottrina immaginano che si tratti di una fattispecie patologica negoziale assolutamente diversa dal conflitto. Si ritiene comunque che il contratto con sé stesso, da parte del rappresentante organico della società renda annullabile l’atto a meno che con opportuna delibera dell’organo amministrativo (assemblea dei soci in caso di amministratore unico) il conflitto non sia escluso attraverso la predisposizione di elementi che vadano ad annichilire ogni discrezionalità del rappresentante (divenuto, anche in tal caso nuncius).

Infine nell’ambito della volontaria giurisdizione il conflitto genera l’obbligo di astensione dai poteri genitoriali o tutori del rappresentante che vi si trovi, e l’emergere della curatela speciale, mentre il contratto con se stesso non ha alcuna possibilità di trovare luogo nell’ambito di tale disciplina, a causa appunto del suddetto obbligo di astensione prima di ogni altro passaggio.

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